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Il senso del mistero

C’è una ragione per cui la maggior parte delle fiabe e dei racconti fantastici sono ambientati in luoghi oscuri e quasi sempre di notte: perché sono nati prima dell’invenzione dell’energia elettrica. Per noi che ne usufruiamo da sempre la cosa sembra difficile da concepire ma per comprendere tutti appieno bisognerebbe immaginarsi di fronte alle ombre che si allungano su una parete illuminata da una fiaccola oppure ad osservare la luce fioca di una lanterna oltre la quale si para lo scuro di una sala, di un corridoio, di una strada.

Tuttavia la mancanza di luce ha anche i suoi vantaggi perché costringe ad osservare con più cura, a cercare i punti di riferimento cui ancorarsi, a prendersi il tempo giusto per fare in modo che gli occhi si abituino al buio e facciano emergere dapprima qualche contorno e poi, piano piano, aspetti sempre più precisi di quanto ci sta di fronte. E’ curioso notare che le stesse parole si potrebbero usare per descrivere le sensazioni che si provano in camera oscura dove ci si muove con decisione ma anche con circospezione e, quando appena sotto il pelo del liquido di sviluppo, si vede emergere sempre più nitida un’immagine, allora sì si comprende di come la fotografia nasca dal buio per diventare luce.

Questi concetti Ugo Ricciardi li controlla per finalizzarli a un suo progetto consapevolmente indirizzato al dialogo fra l’oscurità e il bagliore: da qui nascono immagini cariche di magia e mistero e per questo capaci di catturare l’attenzione di quanti se le trovano di fronte. Si tratta di un processo dialettico che prevede una prima fondamentale fase, quella di scegliere gli ambienti naturali che poi verranno ripresi in notturna, cui segue quella dell’intervento della luce che avvolgerà i soggetti secondo diverse e imprevedibili modalità. Il risultato finale è una sintesi dei due processi precedenti perché dà vita a nuove visioni che si parano di fronte all’osservatore  chiedendoli di interpretarle soprattutto dal punto di vista emotivo.

In “De Altaribus” – che è l’ideale articolazione del precedente “Nightscapes” – il fotografo mantiene inalterato il suo approccio ma arricchisce le ambientazioni spostando l’attenzione ora sull’Etna ora sul Tempio di Selinunte, al cospetto di un monolite, all’interno di una foresta, di fronte alla magnificenza di un’Abbazia come quella di Santa Maria di Cavour. Ogni volta controlla la luce, la indirizza trasformandola in un guizzo serpeggiante che circonda la base di un albero, attraversa vivace gli spazi della cripta avvolgendosi attorno alle sue colonne gettando nuova luce per illuminarne le volte, danzano attorno alla maestosità di un’antica torre.

Sono tutti luoghi accomunati da un’aurea di sacralità che Ugo Ricciardi reinterpreta con uno sguardo autenticamente laico e proprio per questo capace di cogliere non il senso della religiosità ma quello, ben più profondo, del mistero.

ROBERTO MUTTI


“È di notte che è bello credere alla luce.”
Edmond Rostand

Nightscapes – Luci e ombre dello spirito

Incantati, silenziosi, rarefatti. Sono questi gli ambienti in cui il fotografo Ugo Ricciardi libera un immaginario buio e luminoso in perfetto equilibrio. Un’ idea nata per caso, giocando con le luci di Natale dei figli, e sostenuta dalla necessità di solitudine, silenzio e natura. Il principio è fondamentale: applicare l’idea al paesaggio, evidenziando l’intervento del fotografo. L’ ispirazione è unica: l’ inconscio. Così l’autore trasforma luoghi a lui familiari in visioni magiche in cui l’oscurità e la luce della luna fanno da sfondo a misteriose entità lucenti. Essenziale è l’uso del bianco e nero che aiuta ad uscire dal realismo del colore, portando lo sguardo al di là della superficie in un piano in cui lo spazio e il momento sono assoluti.

Il metodo di lavoro è lungo e impegnativo. Di giorno la scelta delle inquadrature, gli alberi, le radici e i sassi, fantasticando su quello che potrebbe succedere durante il plenilunio, quando il chiarore della luna crea ombre lunghe e silenti. Di notte la sperimentazione con i cerchi di luce artificiale che nella penombra si animano di nuova vita, prendendo contorni diversi, sfuggevoli, mentre tutto il resto è ammantato dalle tenebre.

Il risultato è “Nightscapes”, un mondo sospeso tra realtà e sogno, caratterizzato da ombre di luce fumosa, in cui la messa in scena regna sovrana, mentre la simmetria e la geometria degli spazi rendono saldo il concetto. Un percorso spirituale e artistico per cercare la propria strada, annunciato in apertura dalle scie di luce che accompagnano l’osservatore ad addentrarsi nell’inconscio senza cercare un senso se non alla fine.

Ed ecco il primo passo, ci troviamo faccia a faccia con una simbolica porta di ingresso sormontata dall’unica vera musa di Ugo, la luce. Una guida in un’atmosfera irreale, dove i momenti di transizione e osservazione coesistono in una pace quasi ultraterrena. Un luogo di passaggio, abitato da anime luminose in perfetta simbiosi con la natura, che avvolgono l’ osservatore facendolo diventare parte stessa di quel mondo. Una realtà che ci viene svelata appena e che lascia spazio all’immaginazione e al significato personale.

È proprio questo l’obiettivo finale di Ugo Ricciardi, riscoprire l’ importanza di una visione individuale e soggettiva, facendo di “Nightscapes” un’ ascesa onirica alla creazione artistica.

VANESSA FERRAUTO